Immaginiamo la scena. “Avvocato cerchi qualcosa. Un appiglio, un pretesto, un cavillo. Noi non ce la facciamo più”. “Dunque, vediamo… a, abigeato, no, non va bene, b, b, c, c, d, disfattismo politico mmm, no, peccato, non è tempo, e, f, g, h, i, insider trading, no, no, l, m, n, o, omissione di soccorso?, no, non è credibile, p, q, s, s, sottrazione di minorenni, oddio qui si va su altre cariche istituzionali, meglio lasciar perdere, ecco, trovato: stampa clandestina. Perfetto”. “E’ sicuro, avvocato?” “Tranquilli, con questo li facciamo a pezzi”.
La vicenda è persino divertente. Sono talmente terrorizzati dal fatto che c’è qualcuno che fa informazione, da tentare di impedirlo con un rozzo ricorso ad una denuncia penale. Il reato su cui si basa l’impianto accusatorio pone la situazione a metà tra il ridicolo ed il patetico: stampa clandestina. Una fattispecie di reato – che, non a caso, vide il massimo fulgore durante il ventennio fascista con il codice Rocco - la cui ratio origina dall’esigenza di perseguire chi – clandestinamente, appunto – pubblica uno stampato senza che sia possibile risalire a chi ne è responsabile. La cosiddetta “clandestinità” sta tutta lì. Peccato che, nel nostro bollettino, ci siano nomi, cognomi, telefoni, posta elettronica, e qualsivoglia elemento utile a capire chi ne cura la redazione. E i molti cittadini che in questi anni ci hanno contattato ne sono la piena conferma. La surreale circostanza ci permette di fare qualche considerazione:
· Il nostro "giornale" fa paura. Fa paura perché pone in essere il più odioso – agli occhi dei nostri amministratori – dei misfatti: fare informazione. La sola idea che ci sia uno strumento attraverso cui passano le notizie, le informazioni, le opinioni, le critiche turba i sonni di chi governa il paese e che vorrebbe che a dormire fossero i cittadini. Peccato che così non è e i cittadini sono ben lieti di leggerci. Perché sono consapevoli che non è in gioco la loro autonomia e sceglieranno con grande serenità i propri rappresentanti istituzionali, ma apprezzano il fatto che noi, del nostro operato, rispondiamo con la massima trasparenza.
· La scala delle priorità della maggioranza è riprovevole. Non si curano certo di intervenire per garantire la sicurezza dei bambini che vanno a scuola, non si preoccupano di intervenire per i diffusi casi di allarmante illegalità che preoccupano i cittadini, non esercitano un minimo di controllo e repressione sui tanti reati a danno del nostro territorio e del nostro ambiente, però mettono la magistratura e la polizia giudiziaria in condizione di doversi occupare della divulgazione di un bollettino di informazione politica, come se rappresentasse chissà quale sconvolgente pericolo per il paese.
· Va sottolineato che – sulla base della loro denuncia – anche la redazione del giornalino della parrocchia rappresenta una pericolosa condotta eversiva e, ai sensi della norma invocata nella loro denuncia, il povero don Antonio rischierebbe due anni di galera. Che facciamo? lo denunciamo subito o lo invitiamo ad andarsi a costituire? A meno che il problema non sia nei contenuti. Ma sui contenuti non interviene la legge – in ossequio all’articolo 21 della Costituzione, che sancisce la libertà di espressione – e ci sono altre fattispecie di reato da prendere in considerazione, come la diffamazione.
· Proprio sulla diffamazione il vicesindaco Alfredo Galli per ben due volte ha dichiarato di avere denunciato il capogruppo dell’opposizione, salvo poi venire a scoprire che era tutta una bufala. E non era vero per una semplice ragione: qualcuno gli avrà spiegato che querelare una persona per aver detto il vero significa dover inevitabilmente soccombere in giudizio.
· Non è in discussione il principio di legalità, che – da pulpiti un po’ più plausibili – potrebbe rappresentare una motivazione ragionevole. Un’amministrazione comunale che pretende il rispetto delle regole - anche quelle “minori” - da parte di tutti, avrebbe dovuto cominciare con denunciare illeciti ben più gravi di quelli che ci vengono contestati. Ma, soprattutto, dovrebbe avere comportamenti ineccepibili, mentre la realtà è ben diversa, come dimostrano i numerosi casi in cui gli interessi della collettività sono stati subordinati ad altre, non troppo nobili, esigenze.
· In gioco c’è la comunicazione politica. Quella loro, fatta con i soldi dei contribuenti, che, avvalendosi del logo dell’amministrazione, esalta l’operato della maggioranza (e, talvolta, attacca l’opposizione) con manifesti, comunicati stampa, costosissime pubblicazioni patinate. Quella nostra, fatta con i soldi nostri, che – pur essendo dichiaratamente di parte – fa informazione, stimola il dibattito, dà spazio alle critiche e alle opinioni e non si lascia intimidire da volgari tentativi censori.
Proviamo però a vedere i possibili scenari della loro geniale mossa strategica. Ci sono due eventualità. La prima, la più probabile, è che la magistratura, già nella fase delle indagini preliminari o, eventualmente, nell’udienza preliminare decida di archiviare la questione. La maggioranza fa una pessima figura, perché non riesce a fermare la nostra pubblicazione (che è evidentemente il loro obiettivo) e riconosce implicitamente la preoccupazione delle conseguenze che può avere sulla credibilità e la competenza di chi ci governa. La seconda, piuttosto remota, è che si riscontri qualche irregolarità formale nel bollettino. In questo caso non faremo altro che correggere l’errore e continueremo, con maggiore entusiasmo ed energia, la nostra azione di informazione. Il loro tentativo di tapparci la bocca è talmente puerile che il loro bavaglio non funzionerà: più che un bavaglio sembra un bavaglino.
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