28 maggio 2004

Catastrofismo ambientalista

Il clima sta cambiando, la terra è in pericolo, il modello occidentale è sbagliato, le risorse non basteranno. A lanciare l’allarme non sono i soliti ecologisti, Verdi e no-global, ma gli americani, Pentagono in testa.


Giugno 2004. Nel giro di poche settimane escono in Italia un libro e un film che hanno il pianeta terra come protagonista. Il libro è “La festa è finita” di Richard Heinberg, mentre il film è “L’alba del giorno dopo”, di Roland Emmerich. Entrambi sono stati “introdotti” in Italia dai Verdi: il libro attraverso la prefazione di Alfonso Pecoraro Scanio e il film, con una proiezione in anteprima mondiale organizzata dalla Federazione Nazionale dei Verdi e con la partecipazione del noto economista ed ambientalista Jeremy Rifkin. L’abbondanza di coincidenze può voler dire due cose: o che davvero i Verdi portano sfiga ed è meglio starne alla larga, oppure che seguono con responsabile attenzione le questioni legate all’impatto delle attività antropiche sugli ecosistemi e quindi sono considerati a pieno diritto gli interlocutori naturali di chi proprio su queste tematiche elabora teorie e studi (il libro) o costruisce un affascinante prodotto cinematografico (il film), basandosi sugli scenari climatici ipotizzati a seguito di autorevoli studi scientifici. L’ultimo dei quali - in ordine di tempo - era stato commissionato dal Pentagono ed è stato tenuto segreto per mesi prima di essere divulgato, evidentemente a causa della recalcitranza del maggior produttore mondiale di gas serra (gli Stati Uniti) a sottoscrivere il protocollo di Kyoto (il rapporto del Pentagono sul clima è disponibile su: http://www.verdi.it/download/rapportopentagono.zip).
Né il libro, né il film possono essere tacciati di “antiamericanismo”, formula semplicistica con cui la mancanza di argomentazioni dei fautori della politica pseudo-liberista (ma nei fatti molto più protezionista di quanto si voglia far credere) di George W. Bush e dei suoi coscritti, per convinzione o per calcolo politico, liquida chiunque abbia l’ardire di esprimere critiche all’operato dell’”impero del bene”. L’autore del libro è uno scrittore americano ed insegna all’Università di Santa Rosa in California, mentre la casa cinematografica che ha prodotto “L’alba del giorno dopo” è niente po’ po’ di meno che la celeberrima 20th Century Fox, una delle più quotate major cinematografiche a stelle e strisce.
Ovviamente il libro, essendo un vero è proprio saggio, contiene molti elementi di approfondimento e basa le sue argomentazione su dati più che attendibili e su considerazioni molto ben circostanziate. In pratica la tesi del libro è che l’umanità ha potuto permettersi uno sviluppo (tecnologico, industriale, produttivo, ecc.) molto rapido nell’ultimo secolo grazie all’utilizzo di una risorsa energetica di facile utilizzabilità come il petrolio, le cui caratteristiche fisiche e chimiche ne hanno fatto la fonte di energia ideale per gran parte delle esigenze. Senza tenere conto delle conseguenze ambientali che un uso incontrollato delle risorse petrolifere comporta l’autore cerca di sottolineare che l’attuale trend di crescita dei consumi è del tutto insostenibile e alcuni dei grandi produttori (e consumatori) di petrolio (tra cui gli Stati Uniti) hanno già superato il cosiddetto “picco di produzione”, al di là del quale i costi di estrazione diventano sempre più elevati e per mantenere inalterati i consumi è necessario attingere ad altre riserve (siano esse fonti tradizionali o rinnovabili). E la continua crescita dei consumi a livello globale farà sì che nel giro di pochi anni (si parla del 2020) si arriverà al massimo della curva di Hubbert (che descrive l’andamento della produzione petrolifera mondiale). Facile immaginare cosa succederà “dopo”. La produzione petrolifera diminuirà costantemente. Il costo dell’estrazione aumenterà, visto che bisognerà trivellare a profondità sempre maggiori. L’energia (di qualunque tipo) costerà ogni giorno di più. Le conseguenze sull’economia, sull’industria, sui trasporti, sui salari saranno immediate e drammatiche. Se non si avrà la capacità di modificare la politica energetica prima che “finisca la festa”, l’impatto sarà davvero traumatico. Purtroppo, come sottolinea lo stesso autore, per i politici è più facile continuare a professare ottimismo e illusioni (e dalle nostre parti possiamo vantare uno dei migliori interpreti di questa filosofia), piuttosto che affrontare con senso di responsabilità un “redde rationem” non più differibile, spiegando che il nostro stile di vita e i nostri consumi non sono compatibili con le risorse del nostro pianeta. Per il momento si preferisce sacrificare vite umane e risorse (anche energetiche) per avventurarsi in improbabili crociate salvifiche che hanno come unico e malcelato obiettivo quello di prendere il controllo di importanti riserve petrolifere, rimandando semplicemente il problema (e solo per alcuni).
Il film non ha pretese pedagogiche. Trae spunto da alcuni studi scientifici sul clima, prende in considerazione una delle ipotesi emerse dagli studi dei climatologi, la adegua alle esigenze cinematografiche (contrazione dei tempi, accentuazione degli effetti delle calamità, ecc.) e ne fa una rappresentazione in stile hollywoodiano, inserendo tutti gli ingredienti necessari (effetti speciali, personaggi, suspance, sentimenti) per renderla godibile per un vasto pubblico. L’operazione riesce perfettamente e senza indebolire alcuni spunti di riflessione che il regista dissemina qua e là nella pellicola. Grazie ad essi Emmerich ci dà modo di pensare che non si appartiene al nord o al sud del mondo per meriti personali o scelte divine e che – a parti invertite, come avviene nel film – potremmo essere noi a bussare alla porta dell’altro emisfero in cerca di rifugio e cibo. Il regista ci ricorda infine che il pianeta terra è l’unico che abbiamo e dovremmo cercare di trattarlo con un po’ più di rispetto, non solo perché ci ospita, ma soprattutto tenendo conto che dalla sua buona salute dipende anche la nostra e quella dei nostri figli.


Tullio Berlenghi

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