Ed è questa la ragione per la
quale 5 anni fa abbiamo esaminato con molta attenzione il caso di un appalto
pubblico a Labico, rilevando numerose anomalie. La storia è in parte nota e ne
farò una brevissima ricostruzione. A novembre del 2009 venimmo a sapere
dell’esistenza di una procedura d’appalto per i lavori di ampliamento della
scuola media. L’importo, per un piccolo comune, era significativo. Si parla di qualcosa
come 700mila euro, che però vennero “frazionati” nel bando di gara, forse per
stare sotto la soglia di 500mila euro (opportunamente elevata dal Governo
Berlusconi poco tempo prima) e potersi avvalere di una procedura ristretta
(quindi soggetta a meno controlli). Nonostante la procedura ristretta rilevammo
una serie inquietante di anomalie, delle quali mettemmo a conoscenza il sindaco
di Labico, chiedendo di sospendere la procedura di gara. Né il sindaco di
allora, Andrea Giordani, né il sindaco di oggi (all’epoca responsabile degli
appalti pubblici), Alfredo Galli, ritennero che ci fossero delle irregolarità e
fecero tranquillamente concludere il bando. A quel punto non potemmo fare altro
che raccogliere l’intera documentazione, predisporre una dettagliata relazione
e portarla all’esame del nostro gruppo politico per un’azione comune. La nostra
ferma intenzione era quella di trasmettere tutto immediatamente alla
magistratura affinché verificasse eventuali illeciti. Alcuni consiglieri ci
hanno chiesto di aspettare per valutare se aggiungere la propria firma e siamo
stati costretti ad attendere oltre un mese per poter depositare il fascicolo
alla Procura della Repubblica di Velletri. Un mese durante il quale, a quanto
pare, tutta la nostra documentazione è finita nelle mani di uno degli attuali
imputati, facilitando eventuali strategie difensive.
Probabilmente questa vicenda è
stata una delle cause della rottura della coalizione e il segretario del
Partito Democratico di Labico ne ha, in seguito, preso pubblicamente le
distanze.
In realtà le cose stanno un po’
diversamente, abbiamo dovuto aspettare qualche anno, ma, alla fine, a maggio di
quest’anno, siamo venuti a sapere, poiché chiamati in qualità di testimoni al
processo, che la magistratura aveva confermato la presenza di illeciti, avviato
un’indagine e rinviato a giudizio alcune persone. Di tutto ciò era informato il
sindaco di Labico, il quale, oltre ad essersi guardato bene dal rendere nota la
vicenda, non si è neppure preoccupato di tutelare gli interessi economici della
comunità che è chiamato ad amministrare, costituendosi parte civile. Sì, perché
un reato contro la pubblica amministrazione vuol dire, verosimilmente, danno
economico per la pubblica amministrazione. E nel nostro caso i conti sono
presto fatti, basta leggere le carte processuali: l’appalto di 500mila euro
l’ha vinto una ditta che ha fatto un ribasso di pochi punti percentuali, mentre
sarebbe stato possibile un ribasso tra il 20 e il 25 per cento (come affermato
dal responsabile di una ditta il cui nome era stato utilizzato per presentare
una falsa domanda, al fine di raggiungere il numero minimo di offerte), con un
risparmio di circa 100mila euro. Basta moltiplicare questo valore per tutti gli
appalti per capire l’entità dello spreco di risorse pubbliche che può essere
causato da una “maldestra” amministrazione.
Al processo abbiamo deciso di
avvalerci della cosiddetta “azione popolare” che consente anche ai semplici
cittadini di intervenire in sede penale in sostituzione della pubblica
amministrazione inerte e costituirsi parte civile. In pratica ci siamo fatti
carico noi (e a nostre spese) di quello che Galli & company non hanno
voluto fare. Abbiamo chiesto anche ai nostri ex compagni di viaggio di unirsi
in questa battaglia, ma – in coerenza forse con il cambio di rotta di due anni
prima – hanno preferito non rispondere.
L’aspetto che accomuna questa
vicenda a quella – indubbiamente ben più grave – che ha sconquassato la
politica della Capitale - in un intreccio che vede coinvolti esponenti di
spicco di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Partito Democratico – è che uno
dei reati più contestati ai 100 tra indagati e arrestati dell’operazione “Terra
di mezzo” è quello di “turbativa d’asta”, ossia lo stesso reato contestato agli
imputati del processo labicano. La turbativa d’asta consente, in linea teorica,
a soggetti estranei all’amministrazione di costruire un accordo per pilotare
dall’esterno l’esito di un bando pubblico. E’ facile intuire che è molto
difficile un’operazione di questo tipo senza nessun tipo di informazione che
provenga dall’interno dell’amministrazione e, tantomeno, se – durante l’iter
procedimentale – viene segnalata – come abbiamo fatto noi - la presenza di
un’anomalia grave.
Come abbiamo avuto modo di dire
in piazza, non crediamo che il nostro giudizio si debba basare esclusivamente su
vicende che abbiano un rilievo penale e non ci interessa quale sarà l’esito del
processo, perché la documentazione processuale dimostra in modo inequivocabile
quello che noi abbiamo evidenziato sin dall’inizio: la regolarità
dell’affidamento di quei lavori era fortemente incrinata da molteplici anomalie
che non potevano certo attribuirsi al caso e questo ha comportato un esborso di
soldi pubblici più elevato e minori garanzie di qualità di esecuzione dei
lavori. La responsabilità – politica e amministrativa – per noi è già
sufficiente per esprimere un giudizio negativo su chi ha permesso che ciò
avvenisse. E un po’ di responsabilità – sempre politica – ce l’ha anche chi ha
preferito tapparsi gli occhi di fronte all’evidenza. Ed è proprio chi si gira
dall’altra parte, chi fa finta di niente, chi non vuole pestare i piedi a lasciare
libero – più o meno consapevolmente – quello spazio dove si può insediare la
“terra di mezzo”. Noi non ci siamo girati dall’altra parte.
Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano
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