Trovo insopportabile l’approssimazione con cui, soprattutto
in politica, si affrontano questioni complesse e delicate. C’è un
pressapochismo di fondo che caratterizza l’azione di chi amministra o governa o
si propone di farlo. Una superficialità che porta spesso a conseguenze
devastanti. Pensiamo ai sistemi elettorali. Negli ultimi vent’anni ne sono
stati introdotti decine, spesso diversi a seconda dell’istituzione da eleggere,
ognuno dei quali avrebbe dovuto risolvere i problemi della politica. Manca la governabilità?
cambiamo il sistema elettorale. La burocrazia non funziona? Ci vuole un nuovo
sistema di voto. La politica non è trasparente? E’ colpa delle regole per
votare. E così via. Non mi soffermo sui guazzabugli che, di volta in volta,
sono stati creati con l’obiettivo di migliorare le cose, ma con risultati non
proprio esaltanti. L’ultima legge elettorale (il famigerato “Porcellum”) era
stata giudicata negativamente sin dalla sua nascita in modo unanime, persino
dal suo ideatore. Talmente brutta dal guardarsi bene dal cambiarla.
Si parla, inoltre, sempre più insistentemente di ridurre il
numero degli eletti, in modo da tagliare i costi della politica. Tra l’altro
l’operazione è già in parte iniziata. Il numero dei consiglieri comunali, ad
esempio, è stato ridotto con due interventi normativi successivi. E
l’inarrivabile Silvio Berlusconi, evidentemente del tutto digiuno di pubblica
amministrazione locale, ha affermato – nella campagna elettorale appena
conclusa – l’esigenza di “dimezzare” il numero dei consiglieri di qualunque
ente locale. Inconsapevole delle conseguenze. Penso al mio comune. Aveva 17
consiglieri prima del 2012. Il loro numero è diventato di otto a seguito dei
“tagli” dei due governi precedenti. Applicando la nuova purga berlusconiana il
numero dei consiglieri si ridurrebbe a quattro. Sindaco, due assessori e
consigliere di opposizione? O magari, per far prima, si leva anche il
consigliere di opposizione? Che logica ha un intervento di contenimento della
spesa che taglia a casaccio la rappresentanza istituzionale? E quanto si
risparmia, sapendo che un consigliere percepisce 17 euro lordi a seduta di
consiglio? Saranno quelle poche centinaia di euro all’anno a mandare in tilt il
comune? Ma un consiglio comunale ridotto a poche unità non costituirebbe un
vulnus democratico e di rappresentanza? E non sarebbe più rischioso che poche
persone, con un evidente minore controllo, gestiscano in totale solitudine
appalti, convenzioni, piani urbanistici, forniture? Col rischio che un singolo
appalto venga a costare decine di migliaia di euro in più? Sempre nel mio
comune, solamente quando si è avuta la presenza di un’opposizione numericamente
più consistente, più motivata (almeno in parte) e con qualche competenza
(almeno in parte) sono stati evidenziati sprechi e inefficienze per centinaia
di migliaia di euro. Tutto nero su bianco e in qualche caso con l’avvio
dell’azione della magistratura. Poi, ovviamente, se per i cittadini va comunque
bene così, non è un problema (fatta salva l’eventuale commissione di reati). Al
momento del voto si può sempre, legittimamente, decidere di optare per
un’amministrazione sciatta e che privilegia gli interessi di pochi a danno dei
diritti di tutti. E’ una scelta e la democrazia, nella sua imperfezione, è
anche questo. Però deve rimanere la possibilità che quella parte minoritaria
della collettività sia in qualche modo rappresentata e porti le proprie istanze
e le proprie proposte nelle sedi istituzionali. Altrimenti la democrazia non
sarebbe solo imperfetta, ma monca. Diventerebbe quello che Alexis de
Tocqueville definiva la “dittatura della maggioranza”, un’odiosa degenerazione
dei principi democratici. Peccato che un’ondata populista, ma non certo
moralizzatrice, rischia di portare esattamente a questo, per la gioia di chi ha
una visione padronale della gestione della cosa pubblica. E’ un po’ come quelli
che, per protesta, decidono di non andare a votare. Loro sono convinti di fare
un dispetto alla “casta”. La casta, invece, sorride e ringrazia.
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