Ci
sono voluti ben tre mesi, ma alla fine persino Alfredo Galli si è reso
conto che non poteva sottrarsi all’obbligo di dare delle spiegazioni ai
cittadini sulla vicenda del sequestro dei depuratori. Un episodio molto grave,
reso ancora più allarmante dai continui tentativi di minimizzarne la portata. A cominciare
da chi ha guidato l’amministrazione per cinque anni (per poi scomparire nel
nulla) il quale, subito dopo l’arrivo dell’avviso di garanzia, ha espresso “piena
fiducia nella ditta che gestisce gli impianti” e ha personalmente assicurato
che “il servizio è stato sempre effettuato nel pieno rispetto delle norme a
tutela dell’ambiente, in maniera tale da garantire, sempre la salute pubblica”.
Neppure un dubbio, un sospetto, un’esitazione. Eppure lui, Galli, Scaccia e
tutti quelli che frequentano – e qualcuno da tempo immemore - la stanza dei
bottoni, avevano tutti gli strumenti per valutare e verificare le cose. Anche
prima dell’informazione di garanzia, ma almeno avrebbero potuto (e, soprattutto,
dovuto) sincerarsi “dopo” della situazione. Invece hanno preferito proseguire
nella tecnica dell’occultamento dei fatti. Hanno insistito su uno degli aspetti
della questione, quello che vorrebbe che tutto il problema fosse legato alla
presunta intervenuta diversa classificazione del fosso di Centogocce. In
sostanza il tentativo messo in pratica da Galli & C. era quello di far
credere che la magistratura aveva cambiato le regole (o almeno la loro
interpretazione) trasformando un impianto di depurazione perfettamente
funzionante in fuorilegge e creando un sacco di disagi al comune e ai
cittadini. I soliti giudici persecutori. Che l’impianto fosse comunque
sottodimensionato, che in ogni caso non funzionasse, che nessuno controllava
niente, che si pagava un consulente per fare dei controlli che non venivano
fatti, che la ditta veniva pagata per smaltire dei fanghi di depurazione ma non
lo faceva (in tre anni 1600 tonnellate
di melma sono state lasciate ad inquinare il nostro territorio), che il comune subiva una frode da una ditta giudicata ineccepibile
dagli amministratori, che tutta questa negligenza ci costerà fior di quattrini,
quello no, quello non è stato detto. Il sindaco ha soltanto – finalmente,
aggiungerei – ammesso che saremo costretti a spendere la bellezza di un milione
e mezzo di euro per un problema del quale non si sente minimamente responsabile,
nonostante stia amministrando questo paese da almeno vent’anni, ossia gli anni
in cui si è dato il via ad una devastazione del territorio di cui quella dei
depuratori è solo una delle conseguenze. Anzi, ha avuto persino l’ardire di
vantarsi di aver già individuato la soluzione (a suo dire) del problema, con un
intervento di adeguamento dell’impianto del Pantano, che dovrebbe – nella
migliore delle ipotesi – tamponare approssimativamente la situazione. E
probabilmente l’operazione “nebbia” sarebbe riuscita senza l’intervento di
Maurizio Spezzano. Nello
Tulli , infatti, si è limitato a ribadire una certa cautela
per quanto riguarda gli aspetti penali della vicenda e preferendo parlare
esclusivamente di come sia stata gestita l’emergenza, senza preoccuparsi troppo
di andare a cercare le responsabilità che di quell’emergenza sono la causa. Secondo
Tulli la soluzione del problema si sarebbe avuta in tre
mosse: avviare prima l’adeguamento dell’impianto con i moduli di ossidazione
finanziato dalla Regione Lazio, ridurre le indennità di giunta ed evitare alcune
spese di mobilio. Certo per arrivare ad un milione e mezzo di euro ci vorrà un
po’, ma si vede che Tulli è persona paziente e lungimirante. Proviamo ad
immaginare il consiglio comunale che finisce qui. Zero informazioni o quasi.
Proposte zero o quasi. Un consiglio comunale pressoché inutile. Per fortuna non
è finito lì. Si è alzato Maurizio Spezzano e
ha spiegato a tutti i presenti come stanno realmente le cose (non entro nel
merito per non ripetere ciò che spiega la nostra relazione). La semplice
esposizione dei fatti ha subito creato scompiglio. Scaccia - che già aveva
avuto modo di criticare il fatto che Nello Tulli fosse in possesso di informazioni sulla
gestione contabile del comune, come se si trattasse del proprio conto in banca
personale – ha provato a mettere in discussione alcune delle affermazioni di
Spezzano, rimediando, come fa ogni qualvolta apre la bocca, una figura
miserabile. Perché quanto veniva esposto da Maurizio era, né più né meno, il
frutto dell’esame della documentazione in possesso del comune. Documentazione
che, come stiamo cercando di spiegare da oltre cinque anni a gente convinta che
vincere le elezioni significhi diventare “padroni” del comune, è pubblica e
accessibile, soprattutto per i consiglieri comunali. Grazie a questo lavoro di
studio e di esame delle carte (tra l’altro non tutte, ma quello è un altro
problema) siamo riusciti a ricostruire per intero la vicenda e a mettere in
luce le possibili responsabilità. Galli, ad un certo punto, non ce l’ha fatta
più e ha preferito togliere la parola a Spezzano. Formalmente ne aveva pieno
diritto, perché l’intervento era andato oltre il tempo consentito dal
regolamento, ma indubbiamente l’uso del proprio potere di presidente
dell’assemblea per chiudere la bocca a chi stava spiegando – cosa che avrebbe
dovuto fare lui - la situazione è parso un atto di estrema difficoltà e
debolezza. Ha addirittura cercato di non mettere in votazione gli ordini del
giorno predisposti da Maurizio con i quali si individuava una prima, concreta,
ipotesi di lavoro sulla vicenda. E, persino il segretario ha cercato di
avallare un’interpretazione democraticida del regolamento. Consapevole della
forzatura, Galli ha accettato di mettere in votazione i tre documenti. Inutile
dire che sono stati bocciati in modo compatto dalla maggioranza, arrampicandosi
su specchi di ruoli e competenze, come se non sapessero (ma magari non lo sanno
sul serio…) che un ordine del giorno è un atto di indirizzo – e quindi politico
- e non un atto deliberativo. E così Alfredo Galli, Giorgio Scaccia , Mirko
Ulsi, Nadia Ricci ,
Luciano Galli e Adriano Paoletti hanno deciso che non vogliono che il comune
incassi le polizze fidejussorie previste dal contratto di appalto, che rescinda
il contratto di appalto con una ditta che ha gestito in modo inqualificabile
gli impianti di depurazione, che il comune cerchi di rivalersi sulla ditta per
i danni causati alla collettività. Visto che è stato spiegato che non si
possono chiedere risorse per sanare i guai combinati dagli amministratori, mi
sembra evidente che, secondo la maggioranza, a pagare dovranno essere i
cittadini. Cominciamo a mettere le mani al portafoglio.
Semplicemente PER-FET-TO. Chiaro anche per i muli, e noi sappiamo chi!
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