Non si fa. Ditino ammonitore che
oscilla da destra a sinistra e viceversa in modo da rafforzare il concetto.
Proprio non si fa. Con il medesimo afflato pedagogico schiere di opinionisti
stanno esprimendo in questi giorni il proprio disappunto per la vignetta di Charlie
Hebdo relativa al terremoto. Non si fa. Con i morti non si scherza.
Proprio la redazione di Charlie
Hebdo era stata vittima di un terribile attentato da parte di fanatici estremisti
islamici, che si sono sentiti offesi dalle vignette che a loro avviso erano un
insulto per la loro religione. Non si fa. Anziché il ditino hanno pensato bene
di utilizzare qualche mitra. Più rumoroso ma di indubbia efficacia comunicativa.
La reazione del vecchio continente fu però compatta, non solo nel condannare il
drammatico episodio, ma anche nella difesa del diritto di pensiero e di
espressione, che rappresenta uno dei valori fondanti della nostra civiltà.
Libertà, certo, di pensiero, di espressione e di satira, ma fino a dove può
arrivare questa libertà? Sui morti non si scherza, abbiamo visto. Soprattutto
sui “nostri” morti, perché non mi è parso di vedere analoghe levate di scudi
quando vignette, anche molto crude, hanno fatto riferimento ad altri morti,
magari disperati in fuga dalla guerra e annegati nel mare Mediterraneo o
semplicemente uccisi in qualche conflitto (qualche volta proprio dalle nostre
bombe e dalle nostre armi). E penso alla
vignetta che fece Staino – ora iscritto al club degli scandalizzati – quando
nel 2010 precipitò l’aereo su cui viaggiava il presidente polacco insieme a
molti esponenti del suo governo, rammaricandosi perché una simile “disgrazia”
non era capitata a noi (augurando neanche troppo implicitamente la morte a
Berlusconi e ai suoi ministri).
Anche sulla religione forse c’è
una sensibilità variabile, considerato che le vignette sulla Chiesa cattolica
sono spesso oggetti di critiche e spunto per accese polemiche.
E vogliamo parlare del pandemonio
scatenato da una recente vignetta relativa alla Boschi a mio avviso semplicemente
banale, ma giudicata sessista, quando alle varie Carfagna, Gelmini, Minetti,
Meloni è toccato subire ben di peggio?
Come se ne esce?
Una prima ipotesi potrebbe essere
quella di dare delle regole alla satira (mi viene un crampo allo stomaco a
pensarci) e stabilire – che so – che è vietato scherzare su morte, religione,
dignità delle donne, razzismo. Ma a quel punto perché non aggiungere un divieto
per la satira che esaspera i difetti fisici (Ferrara ciccione, Brunetta basso e
via dicendo) o i limiti intellettivi (con questo l’ambito di tutela sarebbe
decisamente ampio). E in generale si potrebbe vietare tutto ciò che in qualche
misura urta la sensibilità delle persone. Per farlo potremmo creare una bella
commissione ministeriale di censura preventiva a cui tutti i vignettisti
potrebbero mandare i loro elaborati prima della pubblicazione. Forse sarebbe
non solo macchinoso, ma probabilmente insufficiente, perché la commissione
potrebbe non essere in grado di intercettare tutte, ma proprio tutte, le sensibilità.
E qualcosina un po’ sopra le righe finirebbe col suscitare comunque la piccata
reazione di qualcuno, riaccendendo polemiche e dibattiti.
Una seconda ipotesi potrebbe
essere quella di vietarla del tutto, la satira. In fondo una vignetta occupa
una superficie inferiore al 3 per cento del giornale. Ci si mette una bella
inserzione pubblicitaria e si risparmia sul vignettista.
Infine la terza via è quella di
ricordarsi il vero significato della “satira”, la cui forza comunicativa nasce
proprio dall’assenza di limiti, regole, filtri e binari su cui incanalarla. Può
essere volgare, irrispettosa, sciocca, banale, corrosiva. A volta fa ridere,
altre volte no. A volte fa riflettere, altre volte irride persone famose o
potenti. C’è chi la fa bene e chi no. I disegnatori che piacciono a me possono
non piacere ad un altro e viceversa. A volte è garbata, altre (spesso) è
offensiva. Però, vi prego, non me la togliete: ho già sofferto abbastanza
quando Cuore ha chiuso i battenti.
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