20 luglio 2011

Genova. Luglio 2001 – luglio 2011. Non dobbiamo dimenticare.


 Quando si parla del G8 di Genova la mente corre subito alle drammatiche immagini degli scontri di piazza, alle scene di violenza e di devastazione. Tutto il resto rimane sullo sfondo, visibile solo agli occhi delle persone più attente e sensibili. Il “resto”, lo sfondo, è qualcosa di ben più complesso e articolato e non può certo essere liquidato con formule del tipo “manifestazioni di protesta” o cose così. Il resto è un movimento che si è sviluppato in tutto il mondo e che ha iniziato a diventare popolare a Seattle. Parliamo di quelli che sono stati definiti “no global” dai media, con una rozza semplificazione. Termine che, per molti media, è diventato, con una procedura di semplificazione ancor più stolta e grossolana, sinonimo di “terrorista”.  Ma il contesto in cui si è sviluppato il “movimento” qual era? E quali erano le questioni in campo? Non se ne parla molto e quasi non se ne parla più. Il contesto era il meccanismo attraverso il quale gli uomini più potenti degli stati più potenti decidevano (e tuttora decidono) le sorti del mondo. Di solito spartendo la torta (delle risorse, dei diritti, delle tutele) con grande vantaggio per i potenti. Qualcuno, paradossalmente quelli che, in ogni caso, traevano beneficio da queste scelte (perché cittadini dei paesi privilegiati), ha cercato di esprimere il proprio dissenso. E così, in quel periodo, ogni riunione dei grandi – una G seguita da un numero a seconda della quantità di partecipanti – era accompagnata da contestazioni di chi chiedeva, semplicemente, un mondo più equo e più giusto.
Vorrei insistere su questo aspetto. Chi andava a manifestare “contro” i G8 erano gli abitanti dei paesi ricchi e sviluppati. Quelli che hanno un tenore di vita elevato grazie al fatto che, da un lato, si sfruttano risorse e manodopera del sud del mondo, pagando sia le prime sia le seconde molto meno del loro reale valore, e che, dall’altro, si impedisce ai paesi poveri di elevare i propri standard di vita, per la consapevolezza che questo pianeta non basterebbe se il livello dei consumi e degli stili di vita di tutta l’umanità uguagliasse quello dei paesi più facoltosi. Se decidessimo di portarci tutti quanti al livello degli statunitensi avremmo bisogno di sette pianeti per poter soddisfare le esigenze di tutti. E allora? Allora chi divide la torta decide le dimensioni delle fette a seconda del proprio potere e i grandi e potenti si beccano le fette più grosse.
Così i “no global”, i “terroristi”, proponevano in realtà una diversa e più equa distribuzione della ricchezza e, in particolare, di non depredare le risorse dei paesi poveri. In sostanza suggerivano qualcosa che – a parole – sostengono tutti i sòloni che si proclamano portatori dei valori della solidarietà e della carità cristiana.
Anche a Genova il quadro era lo stesso. L’unica differenza è che si era appena insediato un governo di destra, xenofobo e reazionario. Un governo diretto da un personaggio privo di carisma e credibilità internazionale, giunto al potere grazie alle sue ricchezze e all’abile utilizzazione dei mezzi di comunicazione e che sentiva fortemente l’esigenza di accreditarsi nei confronti dei (veri) grandi del mondo. Sono state emanate direttive molto inquietanti. E’ stato creato, ad arte, un clima da assedio e da guerra di posizione. E’ stata creata una patetica zona rossa presidiata da schieramenti di forze sproporzionati e irragionevoli. Si è voluto dipingere – da subito – con tinte fosche un quadro che, in origine, sarebbe dovuto essere di festa e di allegria.
In quei giorni ero a Genova. Ho subito incontrato un gruppo di scout e poi alcune suore. C’erano tante ragazze e tanti ragazzi pieni di sogni e di voglia di cambiare il mondo. Quella voglia che si ha quando si hanno vent’anni. Chissà quanti di loro erano stati l’anno prima al giubileo a Roma. Non erano né criminali né terroristi. C’erano anche quelli più agitati, c’erano quelli che si opponevano, un po’ ingenuamente, alla prevaricazione della militarizzazione della città con infantili tentativi di superare le barriere create dalle forze dell’ordine. Armati di scudi di plastica, protezioni di gommapiuma e poco più, affrontavano un nemico armato per davvero. E si è visto e si è capito. Tardi. Purtroppo.
La degenerazione di quei giorni è stata oggetto di troppe analisi e dibattiti. I dubbi sui famigerati black block. Un gruppo davvero violento che agiva – non si sa bene perché – pressoché indisturbato. Gli strani episodi di infiltrazione tra i manifestanti. Lo scandaloso assalto alla scuola Diaz, con scene di violenza da golpe argentino e le successive torture nella caserma di Bolzaneto. Amnesty International aprì un’inchiesta e il giudizio fu tremendo. Una pagina vergognosa nella storia del nostro paese.
Ero lì e osservavo. Ho visto la trasformazione di una festa in una tragedia. La prima sera c’era stato un concerto. Il clima, nonostante la tensione che si cominciava ad accumulare, era ancora allegro e piacevole. Poi le cose sono degenerate in tempi rapidissimi, cogliendo di sorpresa i tanti che erano arrivati a Genova con uno spirito ben diverso dall’atmosfera cupa che si è ritrovato a vivere. Non è mai facile la distribuzione delle responsabilità quando succede qualcosa di spiacevole. Se la logica ha un senso, è facile comprendere che chi ricopriva “ruoli di responsabilità” sia in buona parte responsabile di quello che è accaduto. Si è deciso – e temo con cognizione di causa e con precise finalità – di costruire un clima di contrapposizione feroce tra i manifestanti e le forze dell’ordine. La sensazione è che, per molti poliziotti, chi stava a Genova in quel momento era un “nemico”. Io nutro profondo rispetto per chi svolge un compito di servizio per la collettività e la mia indole mi porta a riporre fiducia nelle persone che indossano una divisa. Mi fido del medico e dell’infermiere che mi hanno in cura, del vigile che regola il traffico e delle forze dell’ordine, a cui spetta il compito di vigilare sulla sicurezza. Non ho mai considerato il “pubblico” - lo Stato o il Comune - come un’entità astratta da guardare con sospetto. Anzi, ho sempre pensato che rappresentasse la forma giuridica di quella comunità di cui mi sento parte, con diritti e doveri, ma soprattutto collaborazione e solidarietà.
Queste mie convinzioni sono vacillate a Genova. Per la prima volta la “divisa” non mi è sembrata un punto di riferimento in positivo. Per la prima volta ho avuto paura dei poliziotti. Leggevo segnali ostili nei loro sguardi e mi sembrava più prudente tenermi alla larga. E gli spazi vuoti, la mancanza di comunicazione, di dialogo, i muri, le barriere, le armi (le armi!), sono esattamente il modo più facile per far germogliare quello che si dichiara di voler impedire: la violenza. E così è stato. Ora dopo ora, la temperatura si è fatta sempre più rovente. Le cariche si sono susseguite e la guerriglia urbana si è diffusa incontrollata nelle zone non presidiate. E’ stata una resa dello stato di diritto. Da una parte si è – colpevolmente – permesso il saccheggio della città, dall’altra le cariche della polizia si trasformavano in raid punitivi che colpivano con feroce brutalità chiunque avesse la sola colpa di trovarsi in un determinato posto e di non essere stato abbastanza scaltro o abbastanza veloce da scappare in tempo. Per molte settimane ho avuto problemi respiratori per l’uso sconsiderato dei gas lacrimogeni – sparati anche ad altezza d’uomo – che venne fatto. Per molti mesi la mia mente tornava ogni tanto a rivivere una sensazione di paura, quella sensazione di paura, assolutamente ingiustificata ed incomprensibile. Solo nei regimi si deve aver paura delle forze dell’ordine. Negli ordinamenti democratici chi agisce in nome e per conto del diritto deve garantire la tutela delle persone, a prescindere dalle (eventuali) colpe. E’ l’habeas corpus. L’inviolabilità della persona. A Genova, all’alba del terzo millennio, è calata una gelida notte sul diritto e sui diritti. Abbiamo pagato un prezzo enorme. Un prezzo che ha permesso di distogliere l’attenzione dalla vera questione: una ristretta elite di persone deve poter continuare a scegliere indisturbata il destino di tutta l’umanità. Una profonda ingiustizia. “Carlo non sopportava le ingiustizie” è una delle prime frasi pronunciate da Giuliano Giuliani, il padre di Carlo. E morire per questo è un’altra terribile ingiustizia. Non dobbiamo dimenticare.

5 commenti:

  1. Ricordo bene quei giorni e ricordo anche le tue impressioni già espresse in quelle settimane. Da parte mia provo sempre una forte rabbia quando rivedo e rileggo quelle cronache, specie se si considerano le mazzate prese dalle persone che non c'entravano. Saremo capaci anche di dimenticare la presenza di Fini a dirigere le operazioni? O la contrarietà dell'IDV alla commissione d'inchiesta? Saluti Sab

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  2. Alcune cose le abbiamo già dimenticate...

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  3. Tullio, mi sono emozionato ieri sera quando hai letto queste impressioni e mi emoziono ancora oggi a pensare a tutto quello che a Genova è successo. Peccato che molti soffrano di "amnesie" e rimuovono con facilità anche la morte, nel caso quella di carlo Giuliani, pur di guardare al proprio tornaconto politico. Noi siamo diversi e di questo dobbiamo esserne fieri.

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  4. Grazie. Avrai notato che ho faticato un po' ad arrivare in fondo alla lettura...

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  5. sono stati giorni tremendi, li ricordo bene! e ho subito avuto la netta sensazione dell'humus politico che c'è stato dietro. la destra trionfante alle elezioni appena tenute è stata felicissima di far vedere "chi comanda adesso!" tutte le frustrazioni di anni e anni di ostracismo, di anticomunismo viscerale sopravvissuto anche alla scomparsa del comunismo, hanno trovato una valvola di sfogo attesa con impazienza. quelli che si erano presentati alle elezioni come una destra democratica e quasi per bene, non hanno aspettato troppo a mostrare il loro vero volto.
    io ho 70 anni e ho vissuto la grecia dei colonnelli, l'america latina dei golpe militari, non avrei mai pensato di rivivere dopo 50 anni le stesse orribili cose!
    eppure adesso c'è qualcosa di più enormemente preoccupante, adesso i "grandi" della terra hanno trovato un sistema migliore per evitare queste "fastidiose" rotture di scatole da parte di sognatori di ogni risma. i mass media, i social sono diventati ora i veri persuasori occulti per tenere buoni i sognatori. e questa dittatura morbida e senza violenza sarà difficile estirparla, perchè nessuno più la percepisce come dittatura.

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