Partiamo dai valori democratici e costituzionali che sono in gioco. Da una parte c’è il diritto a manifestare il proprio pensiero – con la parola, lo scritto o altro mezzo di diffusione – sancito dall’articolo 21 della Costituzione e dall’altra c’è la reputazione della persona, che merita, giustamente, piena tutela ed è quello che fanno gli articoli 594 e 595 del Codice Penale su ingiuria e diffamazione. Spesso non è semplice individuare la linea di confine, oltrepassata la quale ciò che era un diritto di rango costituzionale diventa una lesione del diritto altrui alla propria onorabilità. Non vale, evidentemente, la valutazione soggettiva della persona offesa, ma è necessario individuare criteri di giudizio che permettano un corretto bilanciamento tra diritto di critica e/o di cronaca e tutela della sfera individuale. Su questo punto c’è, vivaddio, una corposa produzione giurisprudenziale che permette di avere un quadro abbastanza chiaro su quali siano gli elementi del reato e per capire su quali basi si fonda l’addebito contestato.
Purtroppo, quarantotto ore dopo aver saputo di essere oggetto di una querela, non so ancora su quali elementi si basi. Infatti, Alfredo Galli (attualmente imputato in un procedimento penale per un reato contro la pubblica amministrazione) con l’obiettivo di tutelare la propria onorabilità, comincia sparando subito una bella balla. “Ho sporto denuncia per diffamazione a mezzo stampa presso la locale stazione dei carabinieri”, si legge su Cinque del 24 marzo 2010. Peccato che questa “denuncia” ancora non esista e lui stesso si corregge su Cinque e su “Il resto” del 25 marzo 2010. La ragione è piuttosto semplice da comprendere. Galli si è molto infastidito per l’articolo sul suo permesso di costruire e l’ha ritenuto offensivo. Nessuno però ha fatto in tempo a spiegargli che il reato di “lesa maestà” è stato abrogato da tempo dal nostro ordinamento giuridico e, in presenza di alcune condizioni esimenti, l’esercizio del diritto di critica non integra alcuna fattispecie di reato. L’importante è che vengano rispettati determinati limiti. Ovviamente non bisogna raccontare frottole (ma, nel caso, sappiamo chi ci può dare lezioni) e non devono esserci termini ed affermazioni insultanti. Una volta narrati i fatti, a seguito di un diligente lavoro di ricerca delle notizie, si ha pieno ed incontestabile diritto ad avere, su quei fatti, un’opinione, anche non condivisibile, perfino scomoda. Ed è esattamente quello che è successo nel mio articolo, nel quale ricostruisco con grande rigore – sulla base della documentazione fornita dagli uffici comunali – una singolare procedura di rilascio di un permesso di costruire. Ed è proprio su quella singolarità e su quelle che, a mio avviso, costituivano delle anomalie che ho espresso delle perplessità. La circostanza che la maggioranza - anziché accettare la nostra proposta di fare piena luce sulla vicenda, nell’interesse dello stesso Alfredo Galli, che avrebbe potuto fugare così ogni dubbio in proposito –abbia preferito mettere tutto a tacere, la dice lunga sulla voglia di trasparenza dei nostri amministratori. A questo punto mi è sembrato legittimo – dopo aver atteso per mesi il dibattito in consiglio comunale, che costituisce la sede naturale del confronto politico-istituzionale - spiegare tutta la vicenda in un articolo ed esprimere una serie di dubbi sulle “stranezze” della vicenda; a partire dagli atti citati dal responsabile dell’ufficio tecnico come prova pressoché inoppugnabile sulla regolarità della procedura, non inseriti nella documentazione, e che – una volta richiesti – nessuno è stato in grado di ritrovare.
Tra le argomentazioni a supporto della sua tesi il vicesindaco fa anche un piccolo harakiri. Incurante del fatto che io abbia fatto rilievi esclusivamente sulla procedura di rilascio di un permesso di costruire in zona agricola, si spertica a spiegare che quegli immobili – la cui edificazione, secondo la norma in base alla quale sono stati autorizzati, dovrebbe essere consentita “soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all’esercizio delle attività agricole e di quelle ad esse connesse” – hanno rapidamente visto cambiare la propria destinazione d’uso, prima attraverso una pratica ASP (Agenzia sviluppo provincia) e poi con la
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