24 ottobre 2009
Con una scarpa e una ciavatta
2 ottobre 2009
Obtorto protocollo
“Il protocollo non lo prevede”. Questa la risposta ad un’associazione labicana che desiderava recapitare un regalo (con un simbolo di pace e fratellanza) al Sindaco di Betlemme. Il regalo era accompagnato da una breve lettera, scritta anche in inglese per rendere più semplice il momento della consegna. “Casomai si potrà dare alla cena”. “Quale cena?”.
Ecco, appunto: quale cena? La cena è quella “di gala”. Qualcosa tipo quella della festa delle nocciole di poche settimane prima,organizzata a spese della collettività, ma la cui “cena di gala” era stata riservata alla sola maggioranza e alle sole persone gradite alla maggioranza stessa. Per la cena in onore del sindaco di Betlemme è stata fatta una piccola eccezione: alla cena sono stati ammessi tutti i consiglieri, persino quelli dell’opposizione. Il resto degli invitati è stato scelto sulla base di un rigido protocollo, i cui criteri erano criptici e sconosciuti ai più.
Però, da alcune indiscrezioni - rilasciate da fonti che chiedono il massimo riserbo - siamo riusciti a risalire, almeno in parte, al contenuto del prezioso documento e che siamo lieti di portare alla conoscenza di tutti.
Protocollo di selezione degli invitati alle cene di gala labicane:
- sindaco, assessori, presidente del consiglio, consiglieri di maggioranza (aggiunto a penna: e quelli di minoranza, ma proprio tutti? sì, dai, tutti);
- capi area e capi servizio del comune;
- rappresentanti delle forze dell’ordine;
- selezione di rappresentanti delle associazioni locali da individuare sulla base di valutazioni molto rigorose (quelli che ci stanno simpatici o, almeno, non troppo antipatici);
- imprenditori locali che abbiano un legame di parentela di primo grado con il vice-sindaco;
- imprenditori locali che abbiano un legame di affinità di primo grado con i soggetti di cui al punto precedente;
- imprenditori che abbiano sottoscritto col comune convenzioni di particolare favore (per l’imprenditore, non per il comune);
- collaboratori di fiducia del Sindaco o del vicesindaco;
30 settembre 2009
Benvenuto al Sindaco di Betlemme
Benvenuto a Victor Batarseh, Sindaco di Betlemme

E’ con grande piacere che intervengo, a nome del gruppo Cambiare e Vivere Labico, per esprimere un caloroso e sincero benvenuto a Victor Batarseh, sindaco di Betlemme.
Intanto ci vogliamo congratulare con il nostro gradito ospite, del quale abbiamo appreso che si è impegnato molto, come amministratore, per combattere la corruzione, per dare trasparenza al proprio governo, per migliorare la vita dei cittadini. Abbiamo letto che, tra le tante innovazioni introdotte da quando si è insediato, ha vietato l’uso delle auto comunali per motivi privati; ha chiuso gli esercizi commerciali privi di autorizzazione; ha fissato nuove regole d’appalto dei lavori pubblici mirate ad eliminare gli sprechi, ha licenziato i dipendenti comunali che erano sulla lista paga e non svolgevano alcun lavoro. Uno dei suoi impegni è stato quindi quello di ripristinare correttezza e legalità nella città da lui amministrata. Impegno difficile ovunque e, a maggior ragione, in un posto dove ci sono problemi ancora più gravi. Il suo è sicuramente un esempio da seguire.
Victor Batarseh viene da Betlemme, un nome che tutti noi abbiamo imparato fin da bambini e che assume inevitabilmente un significato evocativo. Betlemme, infatti, è indicata nelle sacre scritture come il luogo di nascita di Gesù Cristo e rappresenta il luogo simbolo della cristianità. Betlemme diventa inevitabilmente sinonimo di fratellanza, solidarietà, pace.
Purtroppo però la pace a Betlemme non c’è. La pace, quella pace che in molti dichiarano di voler costruire, non c’è né a Betlemme, né a Gerusalemme, né in Palestina, né in Israele. Così come è assente in decine di luoghi del pianeta martoriati dalla guerra.
Non è questa la sede, né il momento per analizzare le cause di uno stato permanente di tensione e di paura. I molti errori commessi, da una parte e dall’altra, che hanno portato talvolta a commetterne di più gravi.
La storia dei popoli e delle loro nazioni è costellata da immense ingiustizie. Il diritto internazionale è spesso costretto a prendere atto delle situazioni di fatto, talvolta palesemente inique, ma difficilmente reversibili. E non avrebbe certo senso, adesso, ripercorrere l’ultimo secolo della storia di quelle terre, con la spartizione dell’impero ottomano al termine della prima guerra mondiale, a seguito della dichiarazione di Balfour. Da allora molti avvenimenti si sono succeduti e la nascita dello Stato di Israele, sancita dalla risoluzione 181 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha rappresentato, nei fatti, l’elemento chiave di un percorso difficile e tormentato. Da allora la convivenza dei popoli è stata irta di ostacoli e segnata dal sovrapporsi di torti e ingiustizie, in una spirale distruttiva di cui hanno pagato il prezzo soprattutto le popolazioni civili, in particolare i bambini. Sono decine le risoluzioni dell’ONU che condannano l’insediamento di colonie nei territori occupati, causando ulteriori tensioni e conflitti. Ancora la risoluzione ONU 1860 del 12 gennaio 2009 ha condannato gravi violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi. Noi pensiamo che non sia con la violazione dei diritti umani che si possano risolvere i problemi. In Palestina, in Israele, come nel resto del mondo. Sarebbe ipocrita condannare gli attacchi alla popolazione civile in Terra Santa e giustificarla altrove. La pace e la tutela dei diritti umani non hanno e non possono avere confini.
Spesso per raggiungere un obiettivo giusto si intraprendono le scelte sbagliate, con il risultato di allontanarsi ulteriormente dagli obiettivi che si dichiara di voler raggiungere. Penso alla presenza di un muro di otto metri di altezza che limita fortemente la circolazione e quindi la vita degli abitanti di Betlemme, trasformata così – e sono le parole del nostro ospite – in “una grande prigione circondata dalla polizia israeliana”. Sempre il sindaco di Betlemme ha raccontato di “bambini che vivono a ridosso del muro e che scrivono di volere il miracolo di poter vedere il tramonto”. I muri non servono a proteggere, i muri servono ad alimentare la diffidenza e i conflitti. “Non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti. Senza riconciliazione degli animi, non ci può essere pace”. Queste parole sono state pronunciate più volte da papa Giovanni Paolo II.
Sappiamo quanto sia difficile restituire pace e serenità a chi abita in quei luoghi, ma siamo anche consapevoli della necessità di dare ad ogni popolo il proprio stato, in modo da riconoscere a tutti l’imprescindibile dignità. Bisognerà trovare il modo di farlo anche attraverso una più elastica interpretazione del principio della “triade” (popolo-governo-territorio) stabilito dal diritto internazionale e che appare di così difficile applicazione in una zona dove la frammentazione del territorio è tale da rendere impensabile ricorrere ad una tradizionale demarcazione dei confini. L’obiettivo dovrà essere quello: riconoscere ai due popoli il diritto ad avere ognuno un proprio Stato. Due popoli e due Stati che possano convivere nei valori della fratellanza, della solidarietà e della pace.
E allora vogliamo formulare il nostro convinto augurio che quei valori di fratellanza, di solidarietà e di pace riescano finalmente a trovare la doverosa e duratura accoglienza in Terra Santa. Nell’enciclica “Caritas in veritate” Papa Benedetto XVI afferma che per costruire la pace non è sufficiente il pur fondamentale impegno a livello di governi ed organizzazioni sovranazionali, ma è necessario “sentire la voce e guardare alla situazione delle popolazioni interessate per interpretarne adeguatamente le attese”. E a Betlemme ci sono dei bambini che attendono di poter vedere il tramonto. Noi crediamo che quei bambini a quel tramonto abbiano diritto.
12 settembre 2009
La sagra dell’ipocrisia
29 agosto 2009
Il Silenzio degli insipienti continua
24 agosto 2009
Il Silenzio degli insipienti
4 agosto 2009
Famolo strano
23 luglio 2009
I Verdi si sono persi
7 luglio 2009. Regione Lazio. Sede del Consiglio regionale, via della Pisana milletrecento e spicci. Temperatura effettiva 37 gradi all’ombra. Temperatura percepita: al limite dello squagliamento. Uno sparuto gruppetto di cittadini manifesta la propria contrarietà al corridoio tirrenico e alla bretella Cisterna - Valmontone. Verdi presenti: praticamente nessuno. Viene da chiedersi perché. La bretella è un’opera inserita nella celeberrima “legge-obiettivo”, fortemente criticata non solo dagli ambientalisti e dalla “sinistra”, ma anche dalla più ampia e variegata coalizione che all’epoca sedeva sui banchi dell’opposizione. Non si tratta di una semplice opera pubblica, sul cui merito, utilità e specificità si può dibattere. Si tratta di un principio.
Dell’affermazione di un modello - trasportistico, produttivo, di sviluppo, di consumo del territorio, culturale - ben preciso. Un modello che è fortemente avversato dalla visione ecologista e ambientalista e che, fino a qualche anno fa, veniva contrastato anche dai Verdi e da larga parte della sinistra. Fino a qualche anno fa, appunto, non molto in termini di tempo ma un’era geologica in termini politici. Negli ultimi quindici mesi, infatti, sono cambiate molte cose e non serve dilungarsi sull’evento politicamente più significativo: la pressoché totale scomparsa dalle istituzioni di eletti Verdi.
Questo comporta un quadro anomalo, con un partito ancora formalmente attivo ma che appare quantomeno frastornato e che comunque dedica le proprie energie quasi esclusivamente alle strategie per riconquistare una propria rappresentanza istituzionale. Il problema sta tutto o comunque molto - dentro questa parola: rappresentanza. Rappresentanza non può, infatti, essere considerata la semplice indicazione delle persone cui affidare un ruolo elettivo “quale che sia”, ma deve - per l’appunto - essere una rappresentanza di tipo “politico”. Ossia l’eletto deve (dovrebbe) essere portatore di quella visione, strategia e “cultura” di cui il partito dichiara di farsi interprete.
E qual è questa cultura per i Verdi o, in caso di allargamento degli orizzonti, di Sinistra e libertà? è (o dovrebbe essere) una cultura che prevede una profonda riforma del sistema economico e produttivo. Il legame tra economia ed ecologia è stato in più occasioni il tema della nostra azione politica e abbiamo fatto convegni, elaborato documenti, formulato proposte molto serie e concrete. Si parte dalla consapevolezza che il fabbisogno di risorse di cui necessitano i Paesi più sviluppati non può né estendersi all’intero pianeta, né durare ancora per molto. è dunque necessario ripensare il sistema. Convertire la produzione energetica dalle fonti fossili alle rinnovabili. Ridurre e razionalizzare i consumi e ridurre la produzione di rifiuti.
Evitare le produzioni alimentari ad alto consumo di suolo e di risorse idriche. Passare alla filiera corta della stragrande maggioranza dei comparti produttivi. Tutelare e valorizzare le zone agricole. E, soprattutto, ci vuole coerenza tra l’affermazione teorica di questo modello e l’agire politico. Una coerenza che è venuta clamorosamente a mancare nell’approvazione di un’opera pubblica che sposa perfettamente il modello produttivo sviluppista e cancella ettari di quell’agro romano che - a parole - si dice di voler tutelare.
Nel Lazio si sta assistendo a un consumo di territorio drammaticamente preoccupante e chi amministra la Regione, anziché arginare un fenomeno che rischia di compromettere irrimediabilmente l’identità territoriale, oltre ad approvare opere infrastrutturali devastanti prepara anche un “piano casa” decisamente filoberlusconiano che aggraverà ulteriormente la situazione. Il tutto senza pensare minimamente alle conseguenze sulla mobilità di uno sviluppo sempre più dispersivo e incoerente degli abitati e degli ambiti produttivi, promuovendo, di fatto, la forma di mobilità più aggressiva e dannosa: quella su gomma. Tutto questo però sembra sia stato cancellato dal dibattito all’interno dei Verdi, troppo presi a cercare una collocazione politica al proprio involucro per ricordarsi cosa c’era dentro.
15 luglio 2009
Il grande sonno labicano
Eppure le questioni da affrontare sarebbero molte e importanti. Ad esempio dopo oltre un anno di consigli comunali convocati con una frequenza inusuale (praticamente una media di due consigli al mese, nonostante una pausa “forzata” di due mesi e mezzo per consentire il più ampio possibile dispiegamento di forze a beneficio della candidatura del vicesindaco alle provinciali) per esaminare le 161 osservazioni alla variante al P.R.G. ecco cadere un improvviso silenzio. Noi abbiamo chiesto di darci numeri, dati, cartografia, aggiornamento delle norme tecniche. Nulla. Non si sa nulla. Eppure ci dovrebbe essere un nuovo passaggio in consiglio prima di inviare tutto alla Regione. Niente. Vuoto pneumatico e nessuna risposta. Dell’appalto mensa neppure parlarne. Proprio non è nelle loro corde l’ipotesi di muoversi in modo trasparente e di portare i documenti in commissione per una valutazione più approfondita. Noi, ad esempio, avremmo proposto di coinvolgere quei genitori che – per competenza ed esperienza – erano stati individuati per vigilare sulla qualità del servizio. Avremmo voluto un’amministrazione che collaborasse con la cittadinanza e la informasse delle proprie scelte. Invece hanno preferito chiudersi nelle loro stanze e gestire un appalto pubblico come se fosse qualcosa di personale. Poi, a fronte della mia pubblica censura di questo comportamento, arriva la risposta “piccata” del vicesindaco (ormai autopromosso titolare della sovranità locale a tutti gli effetti) che si mette a dare lezioni di diritto amministrativo. C’è sempre da imparare e prometto che non perderò neppure uno dei suoi seminari. Sempre a proposito del vicesindaco abbiamo scoperto una palese irregolarità nel permesso di costruire, che quando era sindaco, aveva dato a sé stesso in piena violazione della normativa regionale vigente. Ovviamente prima di dare un giudizio definitivo sulla vicenda avremmo piacere di avere qualche spiegazione e per questo abbiamo presentato un’interrogazione al sindaco (formale), che attualmente ha l’interim sull’urbanistica e che all’epoca dei fatti era assessore all’urbanistica. I bookmaker non prendono neppure in considerazione la possibilità che qualcuno si prenda la briga di risponderci. La vicenda non è l’unica ovviamente e molte altre sono le questioni su cui gradiremmo avere qualche spiegazione da parte di chi amministra. Sempre il vicesindaco si è preso la libertà – ancora una volta nelle vesti di primo cittadino – di aggirare sfacciatamente la normativa sugli appalti per realizzare opere di manutenzione stradale che mai si era sognato di considerare durante il mandato e che, guarda caso, a poche settimane dalle elezioni diventavano improvvisamente urgenti ed indifferibili. O ancora, nuovamente con il placet del principe del diritto amministrativo, si affidavano i lavori di restauro del campanile della chiesa in violazione della normativa sugli appalti. Ci piacerebbe anche sapere che fine ha fatto la strada che attraversa la proprietà del sindaco nonché l’atto di permuta che era stato portato con urgenza in consiglio comunale il 6 febbraio e di cui – a cinque mesi di distanza – non si è più avuto notizia. Per non parlare della farsa delle elezioni dell’assessore, che si è dimesso il 19 maggio, ma il cui nome compare ancora nella composizione della giunta. Un’irregolarità amministrativa? Niente affatto replica convintamente il segretario comunale, ormai assuefatto all’idea che Labico sia una zona franca dell’ordinamento giuridico italiano, le dimissioni dell’assessore godono di una disciplina ad hoc e quindi – aggiungo io - l’assessore rimane in carica (e si becca lo stipendio) anche se passa l’estate da dimissionario alle Maldive. Del resto bisogna capirlo: che ci si rimane a fare a Labico se il consiglio non si riunisce e il programma dell’estate labicana è quello che è?
27 giugno 2009
Sulla strada della democrazia
13 giugno 2009
Giordani: un sindaco “usa e getta”?
23 maggio 2009
La giunta perde i pezzi. Una maggioranza allo sbando
Noi possiamo solo cominciare ad avanzare delle ipotesi e a fare alcune considerazioni.
Intanto si registra un sostanziale indebolimento di Alfredo Galli, da molti considerato l’indiscusso leader della coalizione, il quale ha fatto di tutto per sottolineare il mantenimento del proprio ruolo a costo di mettere in discussione quello di chi attualmente ricopre la carica di Sindaco. Un Sindaco,
E’ passato ormai più di un mese dall’ultimo consiglio comunale e non è dato sapere quando si terrà il prossimo. La ragione è piuttosto evidente: una maggioranza litigiosa e allo sbando, pressata dalle nostre continue richieste di chiarimento e di confronto, rischia di fare uscire allo scoperto tutte le sue contraddizioni, con effetti devastanti sulla stabilità della coalizione. E a quanto pare ormai l’unico collante della maggioranza non è tanto tra i singoli elementi che la compongono ma tra le loro terga e le poltrone che occupano, in alcuni casi da tempo immemore. Ed è questo l’elemento patologico di questa amministrazione, i cui esponenti sono ormai talmente ammaliati dal ruolo istituzionale da essere intimamente convinti che sia quello l’obiettivo, quando invece l’obiettivo – in una politica sana e irreprensibile – è quello della buona amministrazione a beneficio dei cittadini.
Il livello di confusione di questa maggioranza è tale da aver scambiato il fine (la buona amministrazione) con il mezzo (la “poltrona” di amministratore). E se il mezzo diventa il fine, tutti i mezzi rischiano di diventare leciti. In una perversa e machiavellica spirale di degrado amministrativo e istituzionale le cui deleterie conseguenze gravano sull’intera comunità labicana. Il primo – e al momento l’unico – atto di vera responsabilità nei confronti del paese che potrebbe compiere l’attuale giunta comunale è quello di lasciare il campo. Di danni ci sembra ne abbia fatti abbastanza.