Una componente rilevante dell’economia del Trentino è il turismo e l’elemento prevalente di attrazione turistica è la natura. È sufficiente farsi un giro tra i siti di promozione turistica e si vede che le parole più usate sono – oltre a “natura” – che svetta al primissimo posto – montagna, boschi, prati, fiumi, laghi, animali, ossia la natura in tutte le sue possibili declinazioni. La “natura”, quindi, è un fattore imprescindibile dell’offerta turistica e per questo i trentini cercano di tutelare e valorizzare un patrimonio che porta lavoro, ricchezza e benessere all’intera collettività.
20 morti all'anno per punture di insetti |
La fruizione del bene “natura”
non è però esente da rischi. Ne siamo tutti consapevoli e di fronte alle
numerose disgrazie che si verificano pressoché quotidianamente si reagisce con
un certo fatalismo. Secondo i dati del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e
Speleologico soltanto nel 2022 ci sono state ben 504 vittime da incidenti in montagna.
Ogni settimana in pratica nelle nostre montagne muoiono 10 persone. Le cause
possono essere molteplici e molto spesso è l’imprudenza un fattore
determinante. Muoiono sciatori, escursionisti, mountain biker, cercatori di
funghi. Possono scivolare su un sentiero, cadere in un burrone, essere travolti
da una valanga, punti da un’ape, morsi da una vipera, caricati da una mucca in
un alpeggio. Ogni volta, alla dovuta costernazione per la perdita di una vita
umana si accompagna l’inevitabile fatalismo: poteva succedere, è successo. Non
si va necessariamente alla ricerca di una responsabilità (che spesso è proprio
della vittima). Qualche volta si chiede di individuare misure di maggiore
prevenzione e sicurezza, ma senza troppa convinzione, anche perché in molti
casi è proprio il mancato rispetto delle misure esistenti a mettere in pericolo
le persone (basti pensare ai numerosi incidenti degli sciatori che si avventurano
nei cosiddetti “fuori pista”). Quasi mai, dunque, si cerca giustizia,
responsabilità, un colpevole, al quale infliggere una punizione severa e
adeguata. “Quasi” mai. Perché un momento in cui abbiamo bisogno del capro
espiatorio (da sacrificare) c’è. Ed è quando il “colpevole” è il lupo (o l’orso)
cattivo. Noi, per, pudore lo definiamo “problematico”. Che poi è problematico
semplicemente perché non rispetta le “nostre” regole e quindi, per stare
sicuri, dobbiamo metterlo in condizioni di non nuocere. Fermo restando che i
primi a non rispettare le regole siamo proprio noi. Perché magari non gestiamo
in modo adeguato i rifiuti, che facilmente attraggono gli animali selvatici,
oppure non seguiamo adeguatamente le indicazioni su come tenere gli animali
domestici o gli apiari, altri elementi di richiamo, oppure che – incuranti dei
cartelli di avviso - entriamo in un bosco, magari correndo, dove è nota la
presenza di animali normalmente elusivi, ma che possono diventare aggressivi in
determinate circostanze (ad esempio in presenza dei cuccioli, come nel caso di
JJ4).
Ecco, in questo caso, scatta la
caccia al mostro. Si perde ogni senso di ragionevolezza e si addita l’animale
(al quale è semplicemente da idioti pensare di applicare le nostre categorie
dell’etica e del diritto) come il male assoluto. Ma davvero si può essere così grotteschi
e puerili da scaricare su un animale selvatico la nostra piena responsabilità,
che inizia soprattutto con l’incapacità di gestione delle nostre stesse scelte?
Già, le “nostre” scelte, perché
gli orsi in Trentino erano estinti. Per essere più precisi li avevamo
massacrati senza tanti complimenti perché disturbavano il nostro modello
economico. Poi sono subentrate altre valutazioni e – sempre con un occhio attento
alle esigenze economiche – abbiamo pensato bene di reintrodurli, perché così il
nuovo business – quello della natura – si arricchiva di una componente molto attraente.
Perché avere orsi, lupi, cervi, daini nei boschi li rende molto più
interessanti dal punto di vista turistico. In più, il progetto di ripopolamento
era lautamente remunerato dalla Commissione Europea e quindi nessuno si è fatto
troppi problemi su cosa comportasse realmente impegnarsi nella realizzazione
del progetto “Life Ursus”. Intanto ci becchiamo i soldi e buttiamo lì qualche
orso. Si mettono un paio di cartelli e finisce lì. Se poi non dovessimo essere
capaci, facciamo presto a dare la colpa agli orsi e li ammazziamo tutti.
La dinamica mi ricorda quella di
un evento di quasi vent’anni fa che mi era rimasto impresso. Un giovane perse la
vita in un incidente stradale. Probabilmente a causa della velocità eccessiva
era uscito di strada ed era andato a schiantarsi contro un albero. Anche in
quel caso serviva un capro espiatorio, qualcuno (o qualcosa) contro cui
riversare un bisogno di giustizia (o meglio vendetta). E chi era questo qualcuno
(o qualcosa)? L’albero, anzi gli alberi. “Problematici”, evidentemente. E così,
nottetempo, un gruppo di amici e compaesani della vittima dell’incidente stradale
pensarono bene di tagliare qualcosa come 200 alberi lungo i lati della strada.
Una vera e propria devastazione ambientale e paesaggistica, frutto di una “giustizia
sommaria” senza alcun senso.
Adesso abbiamo una mamma orsa,
privata dei suoi cuccioli (che potrebbero non essere ancora in grado di sopravvivere
da soli), rinchiusa in una gabbia e condannata a morte. Perché per la nostra
sicurezza non basta averla messa in condizioni di non nuocere. Meglio
ucciderla, così siamo più sicuri. E poi anche per una forma ancestrale di
giustizia: lei ha ucciso, lei deve essere uccisa. Anzi, per avere ancora più
giustizia dobbiamo ammazzarne qualche altro di orso. Facciamo 10, così rispettiamo
proporzioni care a chi governa.
E ricordiamoci: noi siamo l’umanità,
le bestie sono loro.